E’ giusto dire no a l’energia nucleare ?
Claude Guet* e Giovanni Ciccotti**
[Inviato per la pubblicazione a Micromega]
Non facciamoci illusioni, la questione energetica sarà sempre più presente e, probabilmente, determinante nelle strategie politiche, economiche, geostrategiche che i paesi ricchi e poveri, del Nord o del Sud, tratteranno negli anni a venire, su scala nazionale o nel quadro dei grandi accordi internazionali.
Perché tanta sicurezza? Semplicemente perché i fatti sono duri. Con una popolazione mondiale che si avvicinerà ai 9 milioni di umani nel 2050, con le legittime aspirazioni dei paesi più poveri, e spesso più popolati, di soddisfare i bisogni vitali, alimentari e sanitari, passando per la creazione di beni industriali ed agricoli, ci sono molti elementi che concorreranno a esacerbare la domanda in energia primaria e, più ancora, quella in elettricità. Le più volontariste fra le politiche economiche di riduzione dei consumi energetici e di innovazioni tecnologiche nei settori dell’abitazione e del trasporto, che dovranno per forza essere messe in opera, specialmente nei paesi più ricchi, non saranno sufficienti a compensare un raddoppio del consumo d’energia da qui a quarant’anni. Il facile accesso all’energia, al quale ci eravamo confortabilmente abituati nel corso del secolo passato, non è più possibile. Le risorse fossili (petrolio, gas, carbone), che la terra ha messo milioni di anni a formare, saranno esaurite in meno di due-tre-cento anni. Dobbiamo lamentarcene? Probabilmente no, visto che tutti sappiamo che bruciare queste risorse ha contribuito a far passare la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera da 280 ppm (prima della rivoluzione industriale) a 380 ppm (parti per milione). Al ritmo annuale attuale d’emissione di 40 miliardi di tonnellate di CO2 la soglia di 500ppm potrebbe essere raggiunta già nel 2050, con conseguenze che la maggior parte degli esperti considerano drammatiche sull’evoluzione del clima e che i media hanno largamente ripreso, in particolare dopo l’assegnazione del premio Nobel ad Al Gore e all’”Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)”. Siamo così di fronte al paradosso del doppia fattore 2, raddoppiare la produzione di energia riducendo di un fattore 2 l’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Le cosiddette energie alternative permetteranno da sole di evitare il paradosso? Siamo chiari, la risposta è no. L’energia del vento e più ancora quella del sole hanno certamente un potenziale considerevole, ma sono delle energie non concentrate, intermittenti e che richiedono che l’energia sia immagazzinata in modo massiccio ma maneggevole, in modo da poter soddisfare in permanenza la domanda. A tutt’oggi non ci sono tecnologie in grado di rispondere a quest’esigenza. Le energie alternative sono sicuramente destinate ad avere un ruolo significativo, nell’offerta globale di energia senza emissione di gas ad effetto serra, ma esse non possono avere questo ruolo che a complemento di una sorgente stabile, permanente, capace di alleggerire l’effetto delle fluttuazioni di grande ampiezza che gli sono intrinseche. Solo l’energia nucleare può fornire questo zoccolo duro d’energia pulita.
Perché si deve riconsiderare la nostra visione del futuro del nucleare? Prima di rispondere ricordiamo quali sono stati gli elementi che hanno spinto un certo numero di paesi, fra cui l’Italia, ad abbandonare la via nucleare, mentre altri, come la Francia, proseguivano per questa via. I due incidenti di Three Mile Island (1979) e di Chernobyl (1986), anche se le conseguenze non sono assolutamente comparabili, hanno marcato profondamente gli spiriti e riattivato in una parte dell’opinione pubblica la “paura dell’atomo” . Al timore di un nuovo incidente si e’ allora aggiunta l’ansia sulla sorte delle scorie radioattive, alcune delle quali rimangono attive per milioni di anni. La protesta antinucleare, più o meno viva secondo il paese, ha almeno permesso di porre la questione nucleare in termini semplici: i reattori nucleari sono sicuri? Le garanzie di sicurezza sono date a tutti i livelli di responsabilità industriale e statuale? Bisogna ricordare che la catastrofe di Chernobyl è stata in larga misura il risultato dell’incuria che caratterizzava il regime sovietico agonizzante, e riconoscere che il tipo di reattore allora in funzione deve essere proibito senza esitazione. Ci sono risposte tecnologiche affidabili, a costo accettabile, alla sorte delle scorie a seguito del loro stoccaggio in siti geologici profondi, senza rischio, per piccolo che sia, di compromettere la qualità dell’ambiente e la salute delle generazioni future? Per riassumere, l’energia nucleare e’ sicura e partecipe di uno sviluppo durevole? Per noi la risposta è sì.
Il nucleare sta avendo una rinascita in America, in Europa e in Asia perché, alla fin fine i suoi vantaggi compensano largamente i suoi inconvenienti. Un reattore nucleare funziona secondo il principio di una reazione di fissione mantenuta dagli stessi neutroni che essa stessa produce. In pratica solo due elementi esistenti in natura possono essere considerati come combustibile di fissione. Essi sono l’uranio ed il torio. A tutt’oggi solo l’uranio è sfruttato. Siccome i giacimenti sono distribuiti piuttosto uniformemente sull’insieme del pianeta, l’approvvigionamento in uranio non rischia di generare conflitti di natura geopolitica come succede per l’approvvigionamento in petrolio o gas.
A questo primo vantaggio si aggiunge quello della competitività economica, visto che la maggior parte degli esperti sono d’accordo nello stimare il costo del Megawattora elettrico a circa 40€, includendoci i costi legati allo smantellamento e alla gestione completa delle scorie. Questo prezzo e’ paragonabile a quello attuale delle energie fossili, petrolio, gas e carbone. Ma, contrariamente alle energie fossili, il costo del nucleare ha il vantaggio di essere largamente prevedibile per quanto attiene alla durata del funzionamento del reattore che e’ dell’ordine di sessant’anni. In effetti la parte del combustibile uranio non conta che per il 5% nel costo globale che è così largamente dominato dall’investimento e dai costi di funzionamento. Anche nell’ipotesi di un rincaro dell’uranio, a causa della domanda in forte crescita, l’osservazione rimane valida. Altro vantaggio, il nucleare che non emette gas a effetto serra è indicato per essere esentato dall’ecotassa (tassa sull’emissione di CO2), ciò che non accade per le energie di origine fossile.
Un argomento, spesso avanzato dagli oppositori, osservando che il nucleare ha piccola parte nella produzione mondiale di elettricità e, a fortiori, di energia primaria, nega che esso possa giocare un ruolo significativo nella riduzione delle emissioni di CO2. E’ vero che il nucleare non rappresenta oggi che il 17% dell’elettricità mondiale (31% in Europa) e il 6% dell’energia primaria. Ma e’ anche vero che le premesse di un rilancio nucleare forte non possono più essere negate. Esse sono percepibili su scala mondiale in particolare attraverso gli ambiziosi programmi annunciati dalla Cina o dall’India, ciò che lascia pensare ad una parte del nucleare sempre più significativa. Si può stimare che una stabilizzazione delle emissioni di CO2 al livello attuale è realista con una produzione mondiale di elettricità coperta al 50% dal nucleare, ciò che suppone di decuplicare essenzialmente la potenza nucleare mondiale attuale per portarla a circa 4000GWa. In quest’ipotesi di decuplicazione della sua disponibilità il nucleare può senza dubbio concorrere efficacemente a ridurre il tasso di anidride carbonica nell’atmosfera.
Altro argomento avanzato per opporsi alla rinascita nucleare: le risorse d’uranio non sarebbero sufficienti ad alimentare un parco mondiale di reattori producenti una potenza sensibilmente accresciuta. Argomento poco accettabile. Con il parco mondiale attuale di reattori di tipo termico, il consumo di uranio naturale si avvicina alle 70.000 tonnellate per anno. Una crescita regolare e realista del parco mondiale, con in particolare le messa in servizio di reattori termici ad acqua pressurizzata di terza generazione con performance energetiche accresciute, dovrebbe condurre la produzione mondiale verso il 2050 intorno a 1300GWa. Le riserve già ben identificate, che raggiungono i 15 milioni di tonnellate, dovrebbero assicurare l’approvvigionamento globale fino alla fine del secolo. Certo, al di là di questa data i costi di sfruttamento diventerebbero un fattore limitante perché bisognerebbe andare ad estrarre le tracce presenti nei fosfati o nell’acqua di mare.
Lo scenario, tuttavia, cambia completamente se si sostituiscono progressivamente le filiere attuali a neutroni termici con reattori funzionanti senza rallentamento dei neutroni, cioè con quelli che vengono chiamati reattori a neutroni veloci. Perché? La spiegazione e’ semplice. Nei reattori termici solo una frazione infima del combustibile uranio sotto forma di ossido, viene consumata. Questa frazione corrisponde al tenore isotopico in 235U dell’uranio naturale. L’uranio naturale contiene due isotopi. Solo il meno abbondante (0,7%), indicato con 235U e’ attivo (fissile) in un reattore termico, cioè subisce fissioni che liberano neutroni ed energia. E’ la ragione per la quale l’uranio di questi reattori termici e’ preliminarmente arricchito in 235U. Il più abbondante (99.3%), indicato con 238U, resta spettatore, ma non totalmente. Anche se non fissiona, può tuttavia catturare dei neutroni e condurre per trasmutazione alla formazione di un elemento che non esiste più in natura, chiamato plutonio, e, in particolare all’isotopo 239Pu, che, lui, e’ fissile. Questo elemento, prodotto inevitabilmente nel reattore, rimane radioattivo per centinaio di migliaia di anni e pone problemi per il suo stoccaggio sotto forma di scorie mentre e’ un combustibile di grande valore energetico. La tentazione razionale e’, evidentemente, di recuperarlo e riutilizzarlo, ciò che si fa attualmente, nei reattori termici, consumando una miscela d’ossido d’uranio e d’ossido di plutonio, il plutonio di questo nuovo combustibile essendo fornito dal ritrattamento dei combustibili consumati. Si può andare molto più lontano nell’utilizzazione ottimale della risorsa plutonio. Il principio stesso dei reattori veloci, senza moderatori di neutroni, e’ di produrre energia con la fissione dell’isotopo 239Pu, mentre lo si rinnova grazie all’isotopo 238U. Si produce così rigenerazione del combustibile con la prospettiva di un approvvigionamento virtualmente illimitato. Si comprende immediatamente che la sfida del nucleare del futuro e’ proprio quella di arrivare a controllare queste filiere di reattori a neutroni veloci. E’ l’obiettivo che si sono posti i partner del foro internazionale “Generation 4”. L’obiettivo è assolutamente realista, appoggiandosi in particolare sull’esperienza acquisita nel corso di decenni con i diversi prototipi costruiti in Gran Bretagna, in Francia, in Giappone, in Russia o in India,… Non solo l’esaurimento delle risorse non è più un fattore limitante dello sviluppo del nucleare nel quadro dei reattori a neutroni veloci, ma anche la questione delle scorie trova risposte molto interessanti.
La sfida delle scorie è probabilmente la più delicata a trattare perché solleva opposizioni che, benché legittime, vengono fuori più da paure irrazionali che da veri ostacoli tecnologici che rappresenterebbero dei limiti insuperabili. I combustibili consumati contengono non solo plutonio e attinidi, caratterizzati da forte radioattività per tempi immensamente lunghi su scala umana, ma anche dei frammenti di fissione ugualmente radioattivi particolarmente nocivi. Ci sono due opzioni per gestire queste scorie. La prima consiste nel trattare l’insieme del combustibile consumato come una sola scoria che conviene chiudere in contenitori, concepiti per resistere durante millenni alle aggressioni radioattive e termiche del loro contenuto, da depositare in un sito geologico profondo le cui qualità di confinamento siano garantite sulle scale temporali da tenere in considerazione. La seconda opzione, di gran lunga la più razionale, consiste a ritrattare questo combustibile per separare le scorie secondo le loro caratteristiche radioattive. Essa permette di estrarre il plutonio, che come abbiamo visto può essere riutilizzato, e, a termine, gli attinidi minori, nuclei con caratteristiche radioattive vicine a quelle del plutonio ma senza grande valore energetico che, tuttavia, potrebbero essere bruciati nei reattori veloci. In quest’approccio il volume delle scorie che richiedono uno stoccaggio di lunga durata, in un sito geologico, e’ relativamente modesto. Per un paese come la Francia, per esempio, e’ di circa 700m3 per anno. Il volume totale delle scorie nucleari a debole attività e a vita media corta, inferiore a trent’anni, la cui gestione e’ largamente meno delicata, non e’ che una ventina di volte superiore. Per aver ben chiaro qualche ordine di grandezza, e’ utile ricordare che il volume annuale di scorie industriali per questo stesso paese si misura in decine di milioni di m3.
Più di cinquant’anni di R&D in ingegneria nucleare, condotta nel quadro di collaborazioni mondiali, hanno permesso di disporre di tecnologie robuste, affidabili e che possono dare le migliori garanzie di sicurezza dei reattori nucleari ma anche delle strutture di trattamento del combustibile e di gestione delle scorie. La tecnica da sola non può fornire la garanzia ultima. Il nucleare, come qualunque impresa industriale, e’ un’impresa umana. L’accettazione del nucleare passa necessariamente per la messa in opera di strumenti giuridici e politici di controllo e di autorizzazione della messa in servizio delle istallazioni nucleari ben compresa dai cittadini, ciò che suppone che un dibattito pubblico abbia permesso l’approfondimento della riflessione collettiva e la rimozione delle paure irrazionali. Bisogna sperare che le chiusure di natura politico-sociale che si osservano a diversi livelli siano rapidamente superate affinché il nucleare possa essere efficacemente utilizzato per risolvere i gravi problemi che abbiamo sopra evocato.
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(*) C.Guet è un fisico che lavora al C(ommissariat)E(nergie)A(tomique) in Francia.
(**) G.Ciccotti è professore di Struttura della Materia all'Università di Roma "La Sapienza".
Claude Guet* e Giovanni Ciccotti**
[Inviato per la pubblicazione a Micromega]
Non facciamoci illusioni, la questione energetica sarà sempre più presente e, probabilmente, determinante nelle strategie politiche, economiche, geostrategiche che i paesi ricchi e poveri, del Nord o del Sud, tratteranno negli anni a venire, su scala nazionale o nel quadro dei grandi accordi internazionali.
Perché tanta sicurezza? Semplicemente perché i fatti sono duri. Con una popolazione mondiale che si avvicinerà ai 9 milioni di umani nel 2050, con le legittime aspirazioni dei paesi più poveri, e spesso più popolati, di soddisfare i bisogni vitali, alimentari e sanitari, passando per la creazione di beni industriali ed agricoli, ci sono molti elementi che concorreranno a esacerbare la domanda in energia primaria e, più ancora, quella in elettricità. Le più volontariste fra le politiche economiche di riduzione dei consumi energetici e di innovazioni tecnologiche nei settori dell’abitazione e del trasporto, che dovranno per forza essere messe in opera, specialmente nei paesi più ricchi, non saranno sufficienti a compensare un raddoppio del consumo d’energia da qui a quarant’anni. Il facile accesso all’energia, al quale ci eravamo confortabilmente abituati nel corso del secolo passato, non è più possibile. Le risorse fossili (petrolio, gas, carbone), che la terra ha messo milioni di anni a formare, saranno esaurite in meno di due-tre-cento anni. Dobbiamo lamentarcene? Probabilmente no, visto che tutti sappiamo che bruciare queste risorse ha contribuito a far passare la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera da 280 ppm (prima della rivoluzione industriale) a 380 ppm (parti per milione). Al ritmo annuale attuale d’emissione di 40 miliardi di tonnellate di CO2 la soglia di 500ppm potrebbe essere raggiunta già nel 2050, con conseguenze che la maggior parte degli esperti considerano drammatiche sull’evoluzione del clima e che i media hanno largamente ripreso, in particolare dopo l’assegnazione del premio Nobel ad Al Gore e all’”Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)”. Siamo così di fronte al paradosso del doppia fattore 2, raddoppiare la produzione di energia riducendo di un fattore 2 l’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Le cosiddette energie alternative permetteranno da sole di evitare il paradosso? Siamo chiari, la risposta è no. L’energia del vento e più ancora quella del sole hanno certamente un potenziale considerevole, ma sono delle energie non concentrate, intermittenti e che richiedono che l’energia sia immagazzinata in modo massiccio ma maneggevole, in modo da poter soddisfare in permanenza la domanda. A tutt’oggi non ci sono tecnologie in grado di rispondere a quest’esigenza. Le energie alternative sono sicuramente destinate ad avere un ruolo significativo, nell’offerta globale di energia senza emissione di gas ad effetto serra, ma esse non possono avere questo ruolo che a complemento di una sorgente stabile, permanente, capace di alleggerire l’effetto delle fluttuazioni di grande ampiezza che gli sono intrinseche. Solo l’energia nucleare può fornire questo zoccolo duro d’energia pulita.
Perché si deve riconsiderare la nostra visione del futuro del nucleare? Prima di rispondere ricordiamo quali sono stati gli elementi che hanno spinto un certo numero di paesi, fra cui l’Italia, ad abbandonare la via nucleare, mentre altri, come la Francia, proseguivano per questa via. I due incidenti di Three Mile Island (1979) e di Chernobyl (1986), anche se le conseguenze non sono assolutamente comparabili, hanno marcato profondamente gli spiriti e riattivato in una parte dell’opinione pubblica la “paura dell’atomo” . Al timore di un nuovo incidente si e’ allora aggiunta l’ansia sulla sorte delle scorie radioattive, alcune delle quali rimangono attive per milioni di anni. La protesta antinucleare, più o meno viva secondo il paese, ha almeno permesso di porre la questione nucleare in termini semplici: i reattori nucleari sono sicuri? Le garanzie di sicurezza sono date a tutti i livelli di responsabilità industriale e statuale? Bisogna ricordare che la catastrofe di Chernobyl è stata in larga misura il risultato dell’incuria che caratterizzava il regime sovietico agonizzante, e riconoscere che il tipo di reattore allora in funzione deve essere proibito senza esitazione. Ci sono risposte tecnologiche affidabili, a costo accettabile, alla sorte delle scorie a seguito del loro stoccaggio in siti geologici profondi, senza rischio, per piccolo che sia, di compromettere la qualità dell’ambiente e la salute delle generazioni future? Per riassumere, l’energia nucleare e’ sicura e partecipe di uno sviluppo durevole? Per noi la risposta è sì.
Il nucleare sta avendo una rinascita in America, in Europa e in Asia perché, alla fin fine i suoi vantaggi compensano largamente i suoi inconvenienti. Un reattore nucleare funziona secondo il principio di una reazione di fissione mantenuta dagli stessi neutroni che essa stessa produce. In pratica solo due elementi esistenti in natura possono essere considerati come combustibile di fissione. Essi sono l’uranio ed il torio. A tutt’oggi solo l’uranio è sfruttato. Siccome i giacimenti sono distribuiti piuttosto uniformemente sull’insieme del pianeta, l’approvvigionamento in uranio non rischia di generare conflitti di natura geopolitica come succede per l’approvvigionamento in petrolio o gas.
A questo primo vantaggio si aggiunge quello della competitività economica, visto che la maggior parte degli esperti sono d’accordo nello stimare il costo del Megawattora elettrico a circa 40€, includendoci i costi legati allo smantellamento e alla gestione completa delle scorie. Questo prezzo e’ paragonabile a quello attuale delle energie fossili, petrolio, gas e carbone. Ma, contrariamente alle energie fossili, il costo del nucleare ha il vantaggio di essere largamente prevedibile per quanto attiene alla durata del funzionamento del reattore che e’ dell’ordine di sessant’anni. In effetti la parte del combustibile uranio non conta che per il 5% nel costo globale che è così largamente dominato dall’investimento e dai costi di funzionamento. Anche nell’ipotesi di un rincaro dell’uranio, a causa della domanda in forte crescita, l’osservazione rimane valida. Altro vantaggio, il nucleare che non emette gas a effetto serra è indicato per essere esentato dall’ecotassa (tassa sull’emissione di CO2), ciò che non accade per le energie di origine fossile.
Un argomento, spesso avanzato dagli oppositori, osservando che il nucleare ha piccola parte nella produzione mondiale di elettricità e, a fortiori, di energia primaria, nega che esso possa giocare un ruolo significativo nella riduzione delle emissioni di CO2. E’ vero che il nucleare non rappresenta oggi che il 17% dell’elettricità mondiale (31% in Europa) e il 6% dell’energia primaria. Ma e’ anche vero che le premesse di un rilancio nucleare forte non possono più essere negate. Esse sono percepibili su scala mondiale in particolare attraverso gli ambiziosi programmi annunciati dalla Cina o dall’India, ciò che lascia pensare ad una parte del nucleare sempre più significativa. Si può stimare che una stabilizzazione delle emissioni di CO2 al livello attuale è realista con una produzione mondiale di elettricità coperta al 50% dal nucleare, ciò che suppone di decuplicare essenzialmente la potenza nucleare mondiale attuale per portarla a circa 4000GWa. In quest’ipotesi di decuplicazione della sua disponibilità il nucleare può senza dubbio concorrere efficacemente a ridurre il tasso di anidride carbonica nell’atmosfera.
Altro argomento avanzato per opporsi alla rinascita nucleare: le risorse d’uranio non sarebbero sufficienti ad alimentare un parco mondiale di reattori producenti una potenza sensibilmente accresciuta. Argomento poco accettabile. Con il parco mondiale attuale di reattori di tipo termico, il consumo di uranio naturale si avvicina alle 70.000 tonnellate per anno. Una crescita regolare e realista del parco mondiale, con in particolare le messa in servizio di reattori termici ad acqua pressurizzata di terza generazione con performance energetiche accresciute, dovrebbe condurre la produzione mondiale verso il 2050 intorno a 1300GWa. Le riserve già ben identificate, che raggiungono i 15 milioni di tonnellate, dovrebbero assicurare l’approvvigionamento globale fino alla fine del secolo. Certo, al di là di questa data i costi di sfruttamento diventerebbero un fattore limitante perché bisognerebbe andare ad estrarre le tracce presenti nei fosfati o nell’acqua di mare.
Lo scenario, tuttavia, cambia completamente se si sostituiscono progressivamente le filiere attuali a neutroni termici con reattori funzionanti senza rallentamento dei neutroni, cioè con quelli che vengono chiamati reattori a neutroni veloci. Perché? La spiegazione e’ semplice. Nei reattori termici solo una frazione infima del combustibile uranio sotto forma di ossido, viene consumata. Questa frazione corrisponde al tenore isotopico in 235U dell’uranio naturale. L’uranio naturale contiene due isotopi. Solo il meno abbondante (0,7%), indicato con 235U e’ attivo (fissile) in un reattore termico, cioè subisce fissioni che liberano neutroni ed energia. E’ la ragione per la quale l’uranio di questi reattori termici e’ preliminarmente arricchito in 235U. Il più abbondante (99.3%), indicato con 238U, resta spettatore, ma non totalmente. Anche se non fissiona, può tuttavia catturare dei neutroni e condurre per trasmutazione alla formazione di un elemento che non esiste più in natura, chiamato plutonio, e, in particolare all’isotopo 239Pu, che, lui, e’ fissile. Questo elemento, prodotto inevitabilmente nel reattore, rimane radioattivo per centinaio di migliaia di anni e pone problemi per il suo stoccaggio sotto forma di scorie mentre e’ un combustibile di grande valore energetico. La tentazione razionale e’, evidentemente, di recuperarlo e riutilizzarlo, ciò che si fa attualmente, nei reattori termici, consumando una miscela d’ossido d’uranio e d’ossido di plutonio, il plutonio di questo nuovo combustibile essendo fornito dal ritrattamento dei combustibili consumati. Si può andare molto più lontano nell’utilizzazione ottimale della risorsa plutonio. Il principio stesso dei reattori veloci, senza moderatori di neutroni, e’ di produrre energia con la fissione dell’isotopo 239Pu, mentre lo si rinnova grazie all’isotopo 238U. Si produce così rigenerazione del combustibile con la prospettiva di un approvvigionamento virtualmente illimitato. Si comprende immediatamente che la sfida del nucleare del futuro e’ proprio quella di arrivare a controllare queste filiere di reattori a neutroni veloci. E’ l’obiettivo che si sono posti i partner del foro internazionale “Generation 4”. L’obiettivo è assolutamente realista, appoggiandosi in particolare sull’esperienza acquisita nel corso di decenni con i diversi prototipi costruiti in Gran Bretagna, in Francia, in Giappone, in Russia o in India,… Non solo l’esaurimento delle risorse non è più un fattore limitante dello sviluppo del nucleare nel quadro dei reattori a neutroni veloci, ma anche la questione delle scorie trova risposte molto interessanti.
La sfida delle scorie è probabilmente la più delicata a trattare perché solleva opposizioni che, benché legittime, vengono fuori più da paure irrazionali che da veri ostacoli tecnologici che rappresenterebbero dei limiti insuperabili. I combustibili consumati contengono non solo plutonio e attinidi, caratterizzati da forte radioattività per tempi immensamente lunghi su scala umana, ma anche dei frammenti di fissione ugualmente radioattivi particolarmente nocivi. Ci sono due opzioni per gestire queste scorie. La prima consiste nel trattare l’insieme del combustibile consumato come una sola scoria che conviene chiudere in contenitori, concepiti per resistere durante millenni alle aggressioni radioattive e termiche del loro contenuto, da depositare in un sito geologico profondo le cui qualità di confinamento siano garantite sulle scale temporali da tenere in considerazione. La seconda opzione, di gran lunga la più razionale, consiste a ritrattare questo combustibile per separare le scorie secondo le loro caratteristiche radioattive. Essa permette di estrarre il plutonio, che come abbiamo visto può essere riutilizzato, e, a termine, gli attinidi minori, nuclei con caratteristiche radioattive vicine a quelle del plutonio ma senza grande valore energetico che, tuttavia, potrebbero essere bruciati nei reattori veloci. In quest’approccio il volume delle scorie che richiedono uno stoccaggio di lunga durata, in un sito geologico, e’ relativamente modesto. Per un paese come la Francia, per esempio, e’ di circa 700m3 per anno. Il volume totale delle scorie nucleari a debole attività e a vita media corta, inferiore a trent’anni, la cui gestione e’ largamente meno delicata, non e’ che una ventina di volte superiore. Per aver ben chiaro qualche ordine di grandezza, e’ utile ricordare che il volume annuale di scorie industriali per questo stesso paese si misura in decine di milioni di m3.
Più di cinquant’anni di R&D in ingegneria nucleare, condotta nel quadro di collaborazioni mondiali, hanno permesso di disporre di tecnologie robuste, affidabili e che possono dare le migliori garanzie di sicurezza dei reattori nucleari ma anche delle strutture di trattamento del combustibile e di gestione delle scorie. La tecnica da sola non può fornire la garanzia ultima. Il nucleare, come qualunque impresa industriale, e’ un’impresa umana. L’accettazione del nucleare passa necessariamente per la messa in opera di strumenti giuridici e politici di controllo e di autorizzazione della messa in servizio delle istallazioni nucleari ben compresa dai cittadini, ciò che suppone che un dibattito pubblico abbia permesso l’approfondimento della riflessione collettiva e la rimozione delle paure irrazionali. Bisogna sperare che le chiusure di natura politico-sociale che si osservano a diversi livelli siano rapidamente superate affinché il nucleare possa essere efficacemente utilizzato per risolvere i gravi problemi che abbiamo sopra evocato.
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(*) C.Guet è un fisico che lavora al C(ommissariat)E(nergie)A(tomique) in Francia.
(**) G.Ciccotti è professore di Struttura della Materia all'Università di Roma "La Sapienza".
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